Lo scorso anno, appena concluso, abbiamo servito ai nostri ospiti circa tre mila arancini/arancine siciliani, distribuiti su più di cento eventi, proposti in cinque differenti gusti riconducibili alla più classica tradizione, cercando di coniugare il gusto e la tipicità del piatto con la comodità di un servizio spesso a buffet, quindi proponendoli in versione più piccola e meno “esplosiva” rispetto a quanto viene servito in Sicilia. Oltre al confronto con i clienti relativamente al gusto, alle modalità di preparazione, agli ingredienti usati, la questione maggiormente trattata durante il servizio e in fase di scambio di opinioni e pareri era relativa alla corretta denominazione degli stessi: arancini o arancine??? Partirei da questo per approfondire una delle eccellenze gastronomiche Siciliane e Italiane, su cui ad oggi, oltre che alla corretta etimologia, ci sono anche perplessità e dubbi in merito alla loro origine.

Arancine o Arancino??

La questione è stata, ed è ampiamente dibattuta, in generale ogni volta che ci si trova davanti ad una di queste delizie. Cominciamo dal dire che si trovano differenze a seconda delle province, nella parte occidentale dell?Isola è chiamata “arancina”, nella parte orientale “arancino” con deroghe, per esempio, nella province di Enna e Messina, Ragusa e Siracusa.   Se si parte dal presupposto che il nome di questa specialità deriva dal frutto dell’arancio, che in italiano è declinato al femminile, l’arancia, sarebbe corretta la denominazione “arancina”, tuttavia in Siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è come per la lingua Italiana, e quindi l’arancia, per esempio, viene chiamata “arànciu”, quindi “arancino”,  da qui ne deriva dunque che entrambe le pronunce sono formalmente corrette, come sottolinea l’Accademia della Crusca, chiamata tempo a fa a dirimere l’annosa questione.  Comunque la si chiami, questa specialità, comunque, trova tutti d’accordo per bontà e versatilità, sia in Sicilia che nel resto d’Italia.

Le origini.

Sebbene non ci siano risoluzioni univoche, essendo un piatto popolare,  cercando sul web e soprattutto informandosi sul territorio si può trovare riscontro al fatto che le origini dell’arancino (da questo momento chiamato così, per comodità, in questo breve articolo) siano da ricondurre tra il IX e l’XI secolo, tempo della dominazione Mussulmana, periodo nel quale fu introdotta nell’isola l’usanza di consumare riso e zafferano accompagnati da spezie e carni. In questa circostanza gli ospiti pare usassero accompagnare il riso, preso con le mani, con le carni speziate proposte in tavola.

Di contro la prima testimonianza relativa a questa prelibatezza risalgono ad uno scritto del 1857 (dizionario Siciliano-Italiano di Giuseppe Biundi) nel quale si fa riferimento però ad una preparazione dolce “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Questo induce a credere che il piatto sia stato preventivamente pensato come dolce,  proposto durante la festività in onore di Santa Lucia, a Palermo, ricorrenza durante la quale, tradizione vuole non si consumino né pane né pasta. La ricetta salata pare dunque successiva, considerando anche il fatto che uno dei componenti principali della farcitura, ovvero il pomodoro, pare sia stato introdotto nella gastronomia Siciliana nel 1852, anno in cui vi sono i primi riscontri relativamente all’acquisto della  pianta, cinque anni prima dello scritto del Biundi, e che solo dopo alcuni anni l’uso dell’ortaggio sia divenuto importante nelle preparazioni gastronomiche Siciliane.

L’introduzione della panatura invece sembra risalire alla corte di Federico II di Svevia (XII secolo), quando si cerco di un modo per portare la pietanza in viaggio o durante battute di caccia garantendone grazie al rivestimento croccante il giusto mantenimento, lasciandone inalterato il gusto, anzi rendendolo più accattivante.

La forma

Alla forma convenzionale, quella tonda, dalla quale si risale al nome, si affianca la celebre forma conica, proposta specialmente nella zona di Catania e Messina. Si dice, la stessa sia ispirata all’Etna. La forma conica richiama la forma della montagna, la punta staccata della pietanza ancora calda fa uscire il vapore che riprende il fumo del vulcano e il ripieno di ragù o sugo è l’equivalente alla lava.

Ricette

Sebbene un forte spirito campanilistico nelle province siciliane ne rivendichi la paternità, argomento di discussione da sempre, un fattore indiscutibilmente comune è la tipologia del ripieno, rigorosamente al ragù di carne, usato in prevalenza in tutta la regione, talvolta con l’aggiunta di piselli. Di altro tipo, quelli al burro con mozzarella e prosciutto, con le melanzane, al pesto di pistacchio.

La preparazione varia molto, essendo una pietanza di uso estremamente popolare, si è tramandata nel tempo offrendo vari spunti di preparazione e finalizzazione. Principalmente la ricetta originale prevede l’utilizzo di riso a chicco tondo (originario, roma), che si fa cuocere in abbondante brodo e zafferano fino a completo assorbimento. Il risultato si dispone in piano di marmo per farlo raffreddare. Si creano poi dei dischi con questo impasto, nel centro dei quali si dispone il ripieno. Dopo essere chiusi e compattati, le palle di riso si passano in una pastella a base di acqua e farina e in seguito si passano nel pangrattato per poi essere fritti in olio bollente, scolati e asciugati sono pronti da gustare.

 

La nostra proposta.

Per preparare gli arancini oggi si dispone di supporti fisici che ne permettono la composizione con stampi a misura di diverse forme e peso. Noi abbiamo optato da subito per la forma conica, in stampi da 150 grammi per facilitarne il consumo a buffet, ma ciò non toglie che quanto riportato possa essere usato per comporre arancini tondi di peso diverso.

Utilizziamo solo riso originario a chicco tondo. 1 chilogrammo.

In una pentola di diametro adeguato versiamo 1,3 litri di acqua e due cucchiai da caffè di brodo granulare che prepariamo noi, con carote, sedano, prezzemolo e cipolla, una presa di sale grosso, 300 cl. di salsa di pomodoro fatta in casa, già cotta (in alternativa potete usare passata di datterino reperibile in diversi supermercati). Quando l’acqua bolle versate il riso a pioggia e cominciate a mescolare abbassando leggermente la fiamma. Dopo circa 10 minuti il riso avrà assorbito tutta l’acqua e la salsa e i chicchi si presenteranno di colore rosso. A questo punto aggiungete altri 300 cl di acqua calda che avrete preventivamente messo a scaldare e terminate la cottura del riso che dovrà risultare ad assorbimento totale dell’acqua leggermente al dente.

Aggiungete abbondante pecorino, 150/200 grammi di burro, pepe nero a piacere e coprite la pentola per qualche minuto. Ne risulterà un composto omogeneo, compatto. Verificate che per un risultato perfetto, il riso non dovrà risultare, neanche in minima parte attaccato alla pentola e il trasferimento su di una placca da cucina per il raffreddamento dovrà essere agile e pulito.

Per il ragù fate pure riferimento alle vostre ricette e ai vostri gusti. Noi usiamo macinato di prima scelta, soffritto con cipolla, sedano e carota tritato molto finemente, pepe e chiodi di garofano, salsa di pomodoro fresco e un pizzico di sale fino. Potete arricchire la farcitura con una spolverata di formaggio grattuggiato e con un cubetto di mozzarella o provoletta ragusana, noi usiamo la seconda. Consiglio di comporre l’arancino nello stampo quando l’impasto è ancora tiepido. A prodotto finito, preparate una pastella con acqua tiepida, farina, sale e pepe che risulti omogenea, con una densita media e assolutamente priva di elementi granulosi (aiutatevi con una frusta), passate l’arancino nella pastella e successivamente nel pangrattato, impanando bene e abbondantemente. Noi friggiamo a 180 gradi al massimo in abbondante olio di semi di girasole, pochi minuti, il tempo della doratura. Adagiate l’arancino fritto su carta assorbente per asciugare e gustate ancora caldo.

Potete consumare l’arancino anche il giorno dopo, senza problemi, oppure congelarlo e consumarlo dopo averlo scongelato rinvenendolo in forno ventilato per pochi minuti a 180 gradi.

Per le varianti che si possono realizzare le proporzioni restano tendenzialmente invariate. Potete sostituire la salsa di pomodoro in cottura con l’acqua con la stessa quantità di pesto di pistacchio, in questo caso potete riempire con crema di pistacchio, pancetta stufata o mortadella a cubetti, provoletta, pecorino o mozzarella, oppure sostituire l’eventuale salsa o pesto con 300 cl. di acqua e abbondante curcuma, in questo caso noi riempiamo con straccetti di salsiccia ragusana e un pesto di finocchietto selvatico home made.

 

 

Tradizione in evoluzione. Viva gli arancini. Viva la Sicilia.

P.S.